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Papaya, elisir di Lunga Vita?


Papaia Fermentata


L'estratto di questo frutto torna alla ribalta. Suo sponsor, un ricercatore famoso.
Che ne vanta i benefici contro invecchiamento, sars e persino aids.


L'elenco delle promesse fa pensare subito a un miraggio. Un richiamo cui è difficile resistere. Contrasta l'invecchiamento perché protegge dai malefici radicali liberi, le «tossine cellulari» responsabili di quello stress ossidativo che danneggia cellule e tessuti. Modula e aumenta le difese immunitarie in condizioni di compromissione patologica, dalla sars all'aids. Previene i danni alla pelle causati dall'esposizione al sole e attenua i segni lasciati dal passare inesorabile del tempo. Aiuta a digerire meglio e a mantenere la linea.
Insomma, se non ci fosse di mezzo Luc Montagnier, lo studioso che condivide con lo statunitense Robert Gallo la scoperta del virus hiv dell'aids, si direbbe una clamorosa bufala.
A compiere il miracolo non è l'ultimo ritrovato della medicina biomolecolare, ma un «nutraceutico», né farmaco né prodotto alimentare, un ibrido. Immun'Age è il suo nome commerciale, ed è ricavato dalla papaya, frutto esotico, secondo un processo particolare di fermentazione. La polverina magica così ricavata, racchiusa in 30 bustine, è da due mesi in vendita in Italia. Oltre che in Giappone, Usa, dove è in commercio da due anni, e Francia. Presto arriverà anche in Germania, Austria e Gran Bretagna.

Le ricerche che hanno prodotto questo integratore, l'ennesimo, ebbero avvio negli anni 90 in Giappone dove Lady Osato, cantante lirica e mecenate morta due anni fa, elargì i fondi per costruire un laboratorio di ricerca che studiasse prodotti naturali «utili all'umanità».
Ma Montagnier che cosa c'entra? Lo scienziato francese cominciò a occuparsi di questo prodotto curativo ricavato dalla papaya quattro anni fa, oggi il suo impegno nel magnificarne le virtù è di dominio pubblico. Esattamente l'anno scorso, in visita a Roma, l'avrebbe offerto a Giovanni Paolo II.
I giornali riferirono che Montagnier aveva consegnato al Papa pillole «contenenti sostanze naturali antiossidanti le quali ritardano i processi naturali d'invecchiamento». Fu un'occasione spettacolare per sponsorizzare il nuovo composto ricavato dalla papaya. E l'effetto della notizia immediato. Poco tempo dopo un giornale titolò su quattro colonne che il Papa riprendeva energia «con il metodo Montagnier».
Il Vaticano smentì e ancor oggi nessuno ha confermato che il miglioramento del Papa sia dovuto alle pillole regalate da Montagnier. Pillole, si disse, a base di papaya e di glutatione, un altro antiossidante e disintossicante.

Il 25 giugno Montagnier sarà di nuovo a Roma per partecipare a un convegno dal titolo significativo, «Dalla genomica alla natura», dove parlerà di antiossidanti naturali in patologie critiche, come l'aids. Si anticipa dietro le quinte che tornerà alla carica con il suo composto di papaya fermentata e fornirà dati di uno studio su malati di aids: triterapia con o senza l'integratore.
Lo studioso francese sembra scegliere per i suoi annunci il clamore dei riflettori anziché l'iter tradizionale delle verifiche basate sui numeri di una ricerca, come si fa negli studi scientifici seri. Nulla si sa su come sono stati randomizzati i malati. Quali le misure di cosiddetta efficacia? «In quanto integratore il composto sfugge alle normali regole e non passa attraverso la legislazione per una valutazione controllata. E se lo studio si basa su un campione piccolo, perde di significatività» osserva l'epidemiologo Gianni Tognoni. Aggiunge Lucia Lopalco, immunologa al San Raffaele: «L'effetto antiossidante di questo composto di papaya è così aspecifico e blando che è difficile pensare possa cambiare il quadro immunologico».
Rincara Alberto Mantovani, docente all'università di Milano e immunologo al Mario Negri: «L'autorevolezza dello scienziato che afferma i benefici clinici di questo composto non basta a dare credito alle sue asserzioni: i dati sulla attività immunomodulante non convincono perché non si basano sui criteri accettati dalla comunità scientifica».
Insomma, si direbbe un clamoroso abbaglio più che un prodotto rivoluzionario.
Eppure, il nuovo integratore, secondo i suoi sostenitori, sarebbe un potente antiossidativo, combatterebbe i radicali liberi, ritenuti una delle cause dell'invecchiamento. Non solo. Stimolerebbe l'azione dei macrofagi, cellule del sistema immunitario con il compito di sconfiggere le aggressioni esterne, e darebbe risultati anche nelle malattie autoimmuni, come lupus e artrite reumatoide. Consentirebbe persino di ridurre il dosaggio dei farmaci immunosoppressori.

«Gli studi clinici condotti finora sono tuttavia su piccoli numeri e lasciano a desiderare. Qualcosa si è visto nelle epatopatie alcoliche dove c'è un danno mediato dai radicali liberi. Quindi gli antiossidanti hanno effetto» precisa Francesco Marotta, gastroenterologo all'ospedale San Giuseppe di Milano che in Giappone ha collaborato alla messa a punto del prodotto. «Studi in via di pubblicazione ne hanno verificato l'efficacia nella gastrite atrofica: riduce le alterazioni enzimatiche tipiche dei processi precancerosi. È di supporto nei pazienti con epatite C. Sono dati condivisibili sperimentalmente. Non si possono vantare proprietà terapeutiche, non ancora. Perché mancano i dati clinici».
Ma allora, se le prove raccolte finora sono carenti, perché fare tanto clamore? «Oltre 30 pubblicazioni scientifiche hanno dimostrato l'azione benefica di Immun'Age sulle difese naturali dell'organismo» dice il dépliant illustrativo della ditta produttrice. Ma le pubblicazioni menzionate dalla ditta sono resoconti di studi soprattutto in vitro e su animali. E anche se da anni Montagnier mette piede più sugli aerei che nei laboratori, dovrebbe sapere che uno studio promettente in laboratorio non garantisce un buon risultato sugli ammalati.

Alcuni principi attivi della papaya sono riconosciuti da tempo, anche dalla medicina cinese. Non potrebbe essere altrimenti, visto il suo alto contenuto di vitamina C e betacarotene, potenti antiossidanti naturali. Perfino più potenti della vitamina E. Questo nel frutto. Il biofermentato (per diversi mesi), ricavato da papaya non ogm (ci tengono a precisare), «non contiene più queste vitamine, ma conserva le proprietà antiossidanti» dice Marotta.
Uno dei principi attivi più noti del frutto è la papaina: enzima che spacca i legami proteici, rendendoli più aggredibili da parte degli enzimi gastrici. «L'effetto è che si digerisce meglio. Ma bisogna mangiarne una grande quantità» osserva Oliviero Sculati, nutrizionista alla Asl di Brescia. «Tra i tanti annunci sui benefici della papaya c'è anche l'effetto dimagrante. Sarebbe sempre merito di questi enzimi. L'ipotesi è che qualsiasi cosa faciliti la digestione alleggerisce l'impatto digestivo e quindi si assorbe più velocemente e l'indice di sazietà si allunga. Ma non è stato provato».
Mancano verifiche essenziali. Questo il ritornello che torna. Intanto sulle presunte proprietà immunitarie di questo frutto esotico punta l'industria. La Brigham's, fabbrica di gelati di Boston, dell'industriale Massimo Gatti, sta mettendo sul mercato un sorbetto alla papaya. Un peccato di gola che allunga la vita? Una cosa è certa: l'estratto di papaya troverà estimatori fra tutti coloro, e sono tanti, che non si arrendono all'idea di invecchiare. «Il mercato delle terapie antietà ha assunto ultimamente dimensioni preoccupanti» scriveva un anno fa la rivista Le Scienze, proprio quando Luc Montagnier mise piede in Vaticano. Lo strillo di copertina, in perfetta controtendenza allo studioso francese, così recitava: «Tutte le bugie dei prodotti antiinvecchiamento». Nel sommario dell'articolo si annunciava la posizione presa da 51 scienziati di fama internazionale che studiano l'invecchiamento, tra cui Leonard Hayflick e Bruce Carnes: di nessun rimedio antietà venduto sul mercato è stata dimostrata sinora la minima efficacia.

Un esempio portato dagli scienziati. Non è affatto vero che prendere antiossidanti significhi aprire un ombrello chimico contro i radicali liberi. Inoltre farlo non sarebbe neanche sempre raccomandabile. «L'eliminazione di tutti i radicali liberi ci ucciderebbe» dice il documento degli studiosi. «Queste molecole svolgono passi intermedi indispensabili per le reazioni biochimiche». Non solo. «Nessuno finora ha dimostrato che gli integratori contenenti antiossidanti limitino il danno ossidativo nell'organismo o influenzino in qualche modo l'invecchiamento».
Che pensare allora? Montagnier sostiene di aver provato su di sé la bontà di ciò che propone. Il guaio è che contro l'invecchiamento tante altre persone hanno creduto di suggerire qualcosa alla luce dell'esperienza personale. Famoso il caso del premio Nobel per la chimica Linus Pauling che ha sempre vantato d'invecchiare bene grazie a megadosi di vitamina C, ritenute potenzialmente tossiche da altri. Mentre la statunitense Fanny Thomas ha ripetuto sino all'ultimo giorno dei suoi 113 anni che il suo segreto era un succo di mele bevuto tre volte al giorno e il fatto di non essersi mai sposata così che «nessun uomo le aveva mai dato preoccupazioni». L'elenco potrebbe continuare.

Dicono di Lei

Papaya: voce di origine aruaca e caribica. C'è chi scrive papaia.
L'albero su cui crescono i suoi frutti, detto albero dei meloni (per le loro dimensioni), è originario dell'America centrale e del Messico. Ora è coltivato in molti paesi tropicali.
Come altri frutti di color arancio è fonte di vitamina C e betacarotene, antiossidanti naturali.
In fatto di antiossidanti quelli di una papaya sono in termini di quantità analoghi a quelli di un pomodoro maturo dello stesso peso.

Frutto e pianta contengono papaina, un enzima simile alla pepsina prodotta dal sistema digestivo per scomporre le proteine.
La papaina è utilizzata in ambito industriale per rendere più teneri alcuni prodotti della carne.
Da anni si conoscono e studiano le proprietà naturali della papaya nella digestione: la medicina cinese la prescrive per chi ha difficoltà a digerire alimenti molto proteici.

La papaya viene somministrata per dissenteria e reumatismi, ma anche per dimagrire.
Estratti di papaya purificati sono usati per infiltrazioni spinali nelle ernie del disco: utilizzo questo approvato dall'Fda.
Di moda è ora la papaya fermentata in polvere che ha funzione antiossidante pur non contenendo più vitamine, ma soprattutto carboidrati e aminoacidi.
Questo prodotto, secondo chi lo propugna, avrebbe diverse proprietà: proteggerebbe dallo stress ossidativo causato dai radicali liberi e potenzierebbe le difese immunitarie.
Le proprietà della preparazione fermentata di papaya (Fpp) sono considerate interessanti, ma mancano per ora di rigorosi riscontri.

Fonte Panorama articolo di Gianna Milano e Stefano Cagliano.

Pubblicato da Amministratore di sabato 17 giugno 2006 alle ore 23:28

Emicrania: Partenio & Salice


Coppia Vegetale contro l'Emicrania


La maggior parte delle persone ha avuto a che fare almeno qualche volta con il mal di testa o cefalea e in particolare con l’emicrania, disturbo che non conosce frontiere dato che colpisce circa il 12% della popolazione mondiale, soprattutto femminile. Il dolore pulsante in genere a un lato del cranio e spesso accompagnato da altri sintomi, può essere anche molto intenso e inabilitante e il problema per chi va soggetto ad attacchi ripetuti non è solo bloccarli rapidamente ma soprattutto riuscire a prevenirli. Per la profilassi dell’emicrania, senza dimenticare la correzione di fattori legati allo stile di vita, sono utilizzati diversi farmaci, tra cui in prima linea i cosiddetti triptani, agonisti selettivi dei recettori 5-HT1 B/D della serotonina che è un neurotrasmettitore fortemente coinvolto in questo disturbo neurologico, e poi beta-bloccanti, calcio-antagonisti, ergot-derivati, Fans, antidepressivi triciclici, antiepilettici, antagonisti dei recettori 5-HT2 A/C. Solo metà dei pazienti per i quali è indicata la profilassi, cioè quelli con più di due attacchi al mese, vede però il loro numero ridursi fino al 50% e meno di metà dei soggetti trattati con i triptani sono liberi dal dolore due ore più tardi; inoltre gli effetti indesiderati dei farmaci impiegati sono una causa frequente d’interruzione del trattamento. Occorrono quindi preparati più efficaci e meglio tollerati, realizzati specificamente per la prevenzione degli attacchi emicranici. Ma non essendoci soluzioni valide per tutti è utile disporre di opzioni differenziate. In quest’ottica rientrano anche preparati naturali, come gli estratti di Tanacetum parthenium e di Salix alba, due specie vegetali con proprietà note: una sperimentazione clinica francese ha mostrato che soprattutto la loro associazione è valida nella profilassi dell’emicrania, per probabili meccanismi d’azione sia sinergici che complementari.
Il tanaceto partenio, o camomilla bastarda (in inglese feverfew, cioè febbrifugo) è un’erba molto diffusa d’uso tradizionale come antinfiammatorio, antisettico e antiemicranico; anche il salice bianco è una pianta comune nota soprattutto per le sostanze analgesiche della corteccia (a partire dalle quali si è realizzato l’acido acetilsalicilico). I loro estratti vegetali sono elencati nella farmacopea e autorizzati in Europa per la somministrazione per os. Il meccanismo d’azione del partenio non è ben noto, si è però osservato che inibisce i recettori 5-HT2 A/C, ha un’azione debole sui 5HT1 B e non riconosce i 5-HT1 D, mentre il salice blocca marcatamente i 5-HT2 A/C e anche i 5-HT1 D. Si è quindi valutato se la combinazione dei due estratti avesse un effetto anti-emicranico maggiore. Al Dipartimento di Neurologia del Centro Ospedaliero Universitario di Clermont-Ferrand, in Francia, si è condotto uno studio open-label su dodici soggetti di 18-55 anni, maschi e femmine, in buona salute a parte la diagnosi di emicrania senz’aura (cioè senza segni premonitori), che hanno ricevuto per dodici settimane capsule con 300 mg di estratto di T. partenium più 300 di S. alba somministrate due volte al giorno.Il trattamento ha ridotto la frequenza degli attacchi del 57,2% dopo sei settimane e del 61,7% al termine in nove pazienti su dieci, con un 70% di soggetti nei quali si sono dimezzati; l’intensità è calata del 38,7% e del 62,6,2% a sei e dodici settimane rispettivamente in dieci pazienti su dieci, con il 70% che ha ottenuto il dimezzamento; infine la durata degli episodi emicranici è diminuita del 67,2% dopo sei settimane e del 76,2% al termine in dieci soggetti su dieci (il totale di riferimento è sempre dieci perché due partecipanti sono stati esclusi, per ragioni non legate al trattamento). I risultati erano nettamente migliori che in altri trial con il solo partenio. La profilassi è risultata anche ben tollerata e al termine dello studio sono apparsi migliorati parametri della qualità di vita quali performance fisica, memoria, livello di ansia. Si tratterà ora di verificare queste evidenze in studi in doppio cieco, randomizzati e controllati contro placebo (nei trial sulla profilassi dell’emicrania l’effetto placebo è consistente), soprattutto condotti su un numero maggiore di partecipanti.

Da: www.dica33.it

Pubblicato da Amministratore di sabato 17 giugno 2006 alle ore 22:40

Luteina per gli Occhi


Occhi in Salute con la Luteina


La luteina, un carotenoide antiossidante presente nella verdura a foglia verde, difende la retina dalle radiazioni solari nocive e può ridurre la progressione di malattie dell’occhio come cataratta e degenerazione maculare senile, ma non tutti lo sanno. È quanto emerso da un’indagine di Synovate, condotta in 5 Paesi, realizzata in collaborazione con Kemin Health, il 72% degli italiani e il 75% degli spagnoli crede che la dieta svolga un ruolo importante nella conservazione della buona salute degli occhi. Quando, però, si tratta di elencare quali sono le sostanze che, assunte con la dieta, aiutano a proteggere la vista, ben pochi hanno le idee chiare: solo il 9,6% degli italiani, il 7,8% dei francesi e il 5,4% degli spagnoli ha sentito parlare di luteina.La luteina è un antiossidante della famiglia dei carotenoidi, che si trova nella frutta e nella verdura a foglia verde, come spinaci e cavoli. È il componente principale del pigmento maculare ed è l’unico carotenoide presente nella macula. Gli studi suggeriscono che questa sostanza possa avere un effetto antiossidante, riducendo il danno ossidativo delle cellule. Sono, infatti, i pigmenti maculari che agiscono da filtro, impedendo alle radiazioni nocive (la “luce blu”) di raggiungere e danneggiare il tessuto sensibile della retina, come fosse una sorta di occhiale da sole naturale. Sono stati svolti diversi studi riguardanti l’azione della luteina sulla salute dell’occhio. Una parte degli studi riguarda la Degenerazione Maculare Senile, malattia che colpisce soprattutto gli anziani e che comporta un deterioramento della visione, tanto da essere la prima causa di cecità nei Paesi Occidentali. Dallo studio di Joanne Seddon della Harvard University è emerso che le persone che consumavano 6 milligrammi di luteina (corrispettivo di circa una porzione abbondante di spinaci) al giorno hanno registrato una riduzione del 57% di rischio di sviluppare questa malattia rispetto alle persone che ne consumavano 0,5 milligrammi al giorno. Lo studio L.A.S.T. (Lutein Antioxidant Supplementation Trial), pubblicato di recente, ha evidenziato che la luteina può migliorare i sintomi nei pazienti che già soffrono di Degenerazione Maculare Senile Secca (detta anche DMS Atrofica). Le verdure più ricche di luteina sono gli spinaci e i cavoli. Infatti una ciotola di cavoli cotti contiene 33,8 milligrammi di luteina (una ciotola di cavoli crudi, 22,1 milligrammi) mentre una ciotola di spinaci cotti ne contiene 15 milligrammi (crudi, 6,7 milligrammi). Se con la dieta non è possibile ottenere i quantitativi di luteina consigliati, è possibile ricorrere agli integratori alimentari contenenti questo antiossidante.

Da: www.italiasalute.it

Pubblicato da Amministratore di sabato 17 giugno 2006 alle ore 22:32

Riflessioni su Fitocomplesso e Sinergismo D'Azione

IL FITOCOMPLESSO

Nell’affrontare questo argomento mi sono chiesto se veramente nel mondo, come qualcuno va sostenendo, vi è la tendenza dell’uomo a riabilitare il ruolo di gestione della propria salute.
Se noi consideriamo quanto negli ultimi vent’anni è stato detto o scritto sui metodi alternativi di cura del proprio corpo, o sul continuo proliferare di certe tendenze spesso aspramente critiche nei confronti della "medicina ufficiale", non possiamo che convalidare tale ipotesi.
Non vi è dubbio che tra le tante terapie alternative, la "fitoterapia" (cura delle malattie con le piante medicinali) ha assunto un ruolo di primaria importanza quale terapia integrativa nonché, in taluni casi, sostitutiva della terapia medica.
Possiamo comunque affermare che questa tendenza sia stata adottata in ogni parte del mondo?
Se interpretiamo il fenomeno quale ricerca di un nuovo approccio terapeutico alternativo alla chimica, la risposta, quantomeno nell’ambito dei paesi industrializzati, è senza dubbio affermativa.
Laddove tale tendenza rappresenta in primo luogo il desiderio di supplire evidenti carenze sanitarie nella gestione di lievi disturbi, espressa come "automedicazione, senza necessariamente investire il piano filosofico o concettuale della medicina occidentale, possiamo considerarlo un fenomeno tipicamente italiano.
Per tale ragione è necessario sgombrare il campo da certi equivoci che vorrebbero paesi come la Francia o la Germania all’avanguardia in questa materia.
In Francia la fitoterapia è una realtà molto antica, ma completamente gestita dalla classe medica, mentre in Germania le piante medicinali vengono utilizzate prevalentemente sotto il profilo omeopatico.
Non voglio e non mi interessa in questa sede attribuire all’automedicazione un ruolo di primaria importanza, né tantomeno declassare l’omeopatia come terapia di "serie B", ma solo riportare l’argomento sui giusti binari.
La fitoterapia intesa come tradizione erboristica ereditata da Ippocrate, Paracelso o Mattioli, è concepita interamente come medicina "allopatica".
Ho ritenuto necessaria questa premessa al fine di illustrare con maggior chiarezza il mio pensiero relativo alla dinamica del "fitocomplesso" nonchè alla sua interazione con altre sostanze.

IL SINERGISMO D’AZIONE

E’ a tutti noto che l’azione medicamentosa di una pianta sia attribuibile alla presenza in essa di sostanze chimiche, non sempre identificabili, dette "principi attivi".
Tali principi attivi sono così denominati grazie alla loro capacità di influenzare, in modo più o meno incisivo, i processi biochimici del nostro organismo e quindi il decorso di molte malattie.
Per tale ragione, molte molecole vegetali oltre a rappresentare la base di molti farmaci (glicosidi cardiotonici della Digitale, alcaloidi del Papavero da oppio, della Belladonna ecc.), costituiscono tutt’oggi oggetto di studio da parte delle università e delle case farmaceutiche.
Talvolta il composto viene potenziato inserendo nella molecola base un sostituente diverso da quello originario; come nel caso dell’aspirina in cui il principio attivo di partenza, l’acido salicilico, è stato mediante acetilazione trasformato in acido acetilsalicilico.
Resta da chiedersi quanto sia possibile nonchè utile indagare sulla farmacodinamica di un infuso, o di un estratto, utilizzando gli stessi metodi di indagine riservati alle singole molecole.
Ogni farmacologo è consapevole che ciò sarebbe una grande sciocchezza ed ogni erborista fa più affidamento nell’arricchire il proprio bagaglio culturale agli studi basati sull’osservezione empirica di un fitocomplesso, piuttosto che alla dinamica di un singolo principio attivo isolato da esso.
Questo è il nodo centrale della questione, ciò che distingue la tradizione erboristica da quella medica occidentale: l’applicazione della terapia, richiede percorsi conoscitivi separati.
Vediamo adesso di approfondire la questione.
Qualcuno potrebbe obiettare: come si può prescindere dalla conoscenza farmacologica dell’atropina, volendo impiegare in terapia delle solanacee come lo Stramonio o la Belladonna?
Poichè la domanda è più che legittima, è necessario a questo punto fare dei distinguo se vogliamo affrontare l’argomento nella sua complessità.
Le piante classificate tra i veleni come la Belladonna, lo Stramonio, la Scilla, l’Aconito, la Digitale ecc., oltre ad essere estranee alla tradizione erboristica, meritano di essere contemplate in una categoria a sè stante.
La loro forte dominante alcaloidea o glucosidica, rende questi vegetali particolarmente preziosi, ma solo attraverso il controllo medico-specialistico.
Neanche in questi casi la farmacodinamica della molecola dominante si identifica con il fitocomplesso, ma neppure se ne discosta di molto; ragion per cui, la conoscenza farmacologica della singola molecola risulta determinante.
Adesso, poniamo il caso di privare la Belladonna dei suoi alcaloidi: potremmo affermare che tale operazione annulli ogni attività farmacologica della pianta?
Se noi partiamo dal presupposto che gli alcaloidi rappresentano solo una parte del fitocomplesso, il quale peraltro risulta formato da centinaia di molecole, la risposta è ovvia: vi sarà una nuova farmacodinamica acquisita, della quale solo la sperimentazione potrà far luce.
In altre parole, si verrà a creare un nuovo equilibrio di interazione tra molecole senza una forte dominante chimica.
Poichè le piante medicinali prive di dominante chimica sono assai numerose, per esse, lo studio di un singolo principio attivo non può condurre alla conoscenza delle proprietà della pianta, ma solo a quella del principio attivo stesso.
Prendiamo ad esempio l’Altea: quasi sempre questa malvacea viene identificata con la mucillagine che essa contiene solo perchè questo polisaccaride risulta presente in maniera massiccia rispetto alle altre molecole (asparagina, pectina, sali minerali ecc.).
Alle mucillagini, vengono riconosciute proprietà emollienti e protettive del tratto gastro-enterico, nonchè lassative di tipo meccanico per aumento di massa.
Secondo questa logica, l’Altea dovrebbe esplicare l’azione propria della mucillagine che essa contiene: niente di più errato!
L’osservazione empirica ci insegna che l’azione emolliente dell’Altea non rappresenta che una parte delle sue proprietà farmacologiche.
Infatti, mentre per alcuni individui, questa malvacea, può rappresentare il diuretico elettivo, per altri tale effetto non viene apprezzato neppure in minima parte.
Di qui nascono certe considerazioni dei farmacologi, secondo i quali, alcune piante non fanno né bene, né male, in quanto discontinue nei loro effetti essendo prive o troppo povere in principi attivi.
In realtà piante come l’Altea, prive di dominante e non di azione medicamentosa, risultano di una straordinaria versatilità qualora vengano impiegate su un giusto "terreno".
Ed è proprio attraverso il concetto di terreno (che per adesso non tratteremo) che possiamo spiegare la versatilità d’azione di molte piante officinali a torto classificate tra i "placebo".
Se ammettiamo questo, dobbiamo pur riconoscere che la via della sola indagine chimica appare alquanto limitata o quantomeno troppo complessa nell’acquisizione di più approfondite conoscenze farmacologiche.
Con tutto ciò, sarebbe un’errore forse ancor più grave affidarsi esclusivamente a metodi empirici di indagine senza avvalersi di quelle conoscenze chimico-tossicologiche che ci consentono, di incanalare la ricerca verso obiettivi più mirati o di bandire l’uso di piante contenenti una o più molecole tossiche come nel caso degli alcaloidi pirrolizidinici scoperti nelle borraginacee ed in molte composite.
Naturalmente, queste poche righe, non hanno la pretesa di esaurire un argomento così complesso ma possono provocatoriamente servire ad uno scambio di idee.

Adriano Sonnini

Pubblicato da Amministratore di martedì 1 marzo 2005 alle ore 23:56

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