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Un bosco, una prateria, costituiscono un ecosistema, ovvero un
complesso di determinate associazioni vegetali, animali e microbiologiche che
hanno raggiunto condizioni di stabilità in relazione alla natura del suolo ed al
tipo di clima. In tale complesso le piante sono nutrimento agli erbivori e
questi ai carnivori; a degradare i resti di piante ed animali, riconducendoli al
ciclo vitale, intervengono detritivori, funghi e batteri che effettuano così
attività di "riconversione" delle sostanze organiche. All'interno di un
ecosistema ogni componente ha quindi una precisa funzione in relazione al
mantenimento dell'equilibrio geobiologico instauratesi. Da non molto tempo si
sta diffondendo la coscienza di come uno degli elementi essenziali a tale
stabilità sia costituito da quei particolari organismi che costituiscono la
categoria dei funghi. Esistono gruppi di funghi con cicli biologici diversi che
determinano una diversa funzione nell'ambito dell'ecosistema. Il fungo può
essere "saprofita" e concorrere a degradare la sostanza organica morta, cosicché
possa essere reintrodotta nel ciclo biologico degli organismi viventi. Il fungo
può intrecciare uno stretto rapporto di interdipendenza con piante vive
(simbiosi) tali da rendere possibile lo sviluppo in un ambiente altamente
conteso qual è il ruolo del bosco. Il fungo talvolta può comportarsi da
parassita. Ma anche i funghi parassiti, in condizione di stabilità ecologica,
sono utili perché concorrono a eliminare, e quindi a selezionare, gli individui
deboli di una comunità. Solo in mancanza di equilibrio il parassitismo si muta
in forma patologica e quindi dannosa per la collettività. In tutti i casi i
funghi assumono importanza rilevante nell'economia di un bosco. Si comprende
allora l'importanza di rispettare i funghi (anche quelli più insignificanti);
sia i corpi fruttiferi, cioè la parte addetta alla riproduzione, sia la "pianta
fungo" vera e propria. Senza funghi il bosco e tutte le componenti
dell'ecosistema tendono a degradare, sin anche il suolo. I funghi sono dunque
importanti per la stabilità delle associazioni biologiche, d'altra parte non si
può ignorare che le specie fungine sono spesso tanto vistose da farsi notare,
solleticando la nostra curiosità ... e il nostro appetito. Facciamo attenzione
allora a non cibarci di funghi che possano rivelarsi velenosi; ma non
accaniamoci a distruggerli solo perché tali: anch'essi hanno una precisa
funzione. È per i suddetti motivi che questa pubblicazione presenta parecchi tra
i funghi velenosi reperibili nel nostro territorio: funghi da conoscere,
evitare, rispettare.
Normalmente, quando si sente parlare di funghi, il nostro
pensiero corre a quei corpi carnosi dai colori più o meno vivaci che andiamo
pazientemente a cercare nei boschi e che - con minore impegno ma con maggiore
spesa - possiamo acquistare sul mercato.
Dal punto di vista scientifico invece questi comuni "funghi" non
sono che una parte, il corpo fruttifero, di una pianta che vegeta sottoterra o
entro un substrato ligneo. Il fungo, nella corrente accezione del termine, è
quindi paragonabile a un frutto, quale una mela o una pera, prodotto
dall'attività di un apparato vegetativo normalmente affondato nel substrato
nutritivo e perciò non visibile, cui viene dato il nome di micelio, costituito
da un intreccio di numerosissimi filamenti chiamati ife.
Le forme di questi "frutti", che normalmente chiamiamo
funghi ma che più correttamente si dicono carpo/ori o ricettacoli, sono
svariatissime e, a ben vedere, una più curiosa dell'altra.
I vegetali in genere si nutrono di sostanze
inorganiche, assorbono cioè dal terreno, oltre all'acqua, anche gli altri
elementi indispensabili alla loro esistenza sotto forma di sali inorganici.
Grazie alla clorofilla - sostanza verde che si trova in tutti i vegetali (con
qualche rara eccezione) esclusi i funghi - e alla luce solare che determina le
reazioni, portano a compimento l'importantissimo processo di sintesi organica,
da cui dipende la nostra stessa vita, chiamato appunto fotosintesi
clorofilliana.
I funghi invece, essendo sprovvisti di clorofilla, non
sono indipendenti dal punto di vista nutrizionale e devono nutrirsi a spese di
altri organismi o dei loro prodotti di decomposizione. Per tale motivo essi sono
detti eterotrofi, come gli animali, contrariamente ai vegetali fonosintattici
che sono autotrofi.
Il termine micologia deriva dal greco Mio (fungo) e
Logo (scienza). Micologia è quindi la scienza che studia i funghi in tutti i
campi della sua vastità. Essa può venire intesa come micologia del micofago,
ossia la ricerca e la determinazione dei miceli a scopo puramente alimentare.
Micologia del micofilo, ossia la ricerca e la determinazione dei miceli a scopi
puramente scientifici, ma limitati all'apprendimento, al sapere individuale.
Micologia del mitologo, o micologia pura; essa prevede anche una certa
conoscenza di nozioni biologiche e microscopiche. Il mitologo è colui che fa di
questa scienza una ragione di vita, quindi è un vero e proprio professioni- sta.
In questo senso la micologia può essere estesa a vari settori, come la didattica
(purtroppo carente oggi nel nostro Paese: in Francia e in alcuni Paesi del
Centro Europa è considerata materia di insegnamento in alcune università).
Abbiamo visto come, per vivere, i funghi abbiano la
necessità di nutrirsi a spese di altri organismi vegetali o animali, viventi o
no. A seconda della forma di nutrizione vengono generalmente suddivisi in tre
gruppi:
Saprofiti, quelli che si nutrono di sostanze organiche,
animali o vegetali, non viventi. Tali funghi, assieme ai batteri, provvedono
alla importantissima funzione di degradazione della sostanza organica affinché
tutte le spoglie del mondo vivente vengano restituite a quello inorganico sotto
forma di acqua, anidride carbonica e sali minerali che assicurano il ripetersi
del ciclo biologico. L'humus del terreno, costituito appunto di detriti vegetali
in tutti gli stadi di decomposizione, rappresenta la fonte di nutrizione di un
grandissimo numero di funghi saprofiti tanto macroscopici che microscopici.
Funghi parassiti:
il micelio di questo gruppo attacca la pianta (es.
Armillariella Mela) attraverso le fenditure della corteccia, o le foglie, o le
radici;
nutrendosi dalla pianta stessa la portano alla morte
entro pochi anni. A questo punto ci si potrebbe chiedere dove è l'utilità del
fungo ed è proprio qui che entra in gioco la natura con le sue leggi perfette e
l'equilibrio reciproco: così facendo queste categorie di funghi permettono la
sopravvivenza solo alle piante più forti e rigogliose, prerogativa questa ben
nota per la conservazione della specie.
Simbionti
quelli che conducono vita di mutualismo con altri
organismi viventi, comprese le piante legnose dove il micelio entra in simbiosi
con le radichette terminali stabilendo con esse uno scambio continuo di sostanze
nutritive. Il fenomeno, detto micronizza, si realizza per semplice contatto o
mediante la penetrazione superficiale o profonda di uno strato più o meno spesso
di ife fungine nelle radichette medesime. La combinazione è vantaggiosa sia per
il fungo che per la pianta ed è stato dimostrato che, in simili circostanze,
quest'ultima cresce assai più rigogliosa. Per tale motivo la comparsa di
carpofori di funghi simbionti in un bosco ancor giovane prelude a un sano ed
equilibrato sviluppo del medesimo.
Ciò premesso, siccome la maggior parte
dei funghi superiori, commestibili o velenosi, appartiene al gruppo dei
simbionti, durante la cerca dei primi dovranno essere evitati vandalismi,
devastazioni e raccolte incontrollate.
Di tutte le teorie che circolano sulla raccolta dei
funghi e di tutte le pubblicazioni esistenti in merito, pensiamo che quelli che
seguono siano i consigli più utili.
Raccolta dei funghi:
A) i funghi vanno raccolti interi, senza strapparli o
tagliarli alla base del gambo, con leggeri movimenti rotatori per lasciare
intatti i caratteri morfologici necessari alla determinazione;
B) quelli certamente conosciuti vanno immediatamente
puliti e, privati delle parti non commestibili, riposti nell'apposito comparto
del cesto;
C) quelli poco conosciuti vanno ripuliti dalle scorie
(terra, foglie, aghi, ecc.) e vanno riposti interi nell'altro comparto del
cesto;
D) vanno raccolti solo quei funghi che per il loro
stato di conservazione assicurino una buona commestibilità; vanno tralasciati
quelli troppo adulti o impregnati di acqua o completamente invasi di larve;
E) i funghi che non vengono raccolti per un qualsiasi
motivo, non vanno assolutamente calpestati, bastonati o distrutti; potrebbero
servire a qualche esperto o appassionato che venisse a passare successivamente
sul posto o quanto meno continuerebbero nel loro importantissimo ruolo di
equilibrio del bosco;
F) è bene conoscere particolarmente i funghi velenosi e
tossici in modo da evitarne la raccolta e il contatto con gli altri;
G) i funghi conosciuti e destinati direttamente al
consumo, vanno (al ritorno) ulteriormente puliti, lavati, e subito cotti
(scottati); vista la deperibilità dei funghi si evita, così facendo, di rimanere
intossicati per ingestione di cibo avariato;
H) quelli non conosciuti e precedentemente separati
vanno sottoposti al più presto possibile al controllo del micologo. A questo
proposito presso l'Ufficio Sanitario di Arezzo esiste il servizio Micologico
gratuito ed aperto, in periodi ed orari stabiliti, a tutti i cittadini;
I) molto importante è ricordare strutture, forme e
colore dei funghi destinati privatamente al consumo perché nella malaugurata
ipotesi di avvelenamento, questi dati possono servire al medico ed al micologo
per individuare la specie ingerita e trovare così la cura più appropriata al
singolo caso.
Per completare queste notizie di carattere tecnico
vogliamo aggiungere poche parole sull'equipaggiamento più idoneo per chi si
appresta ad un'escursione in pineta. Particolare molto importante da tenere
presente è l'esistenza delle vipere nelle nostre zone, anche se in numero
inferiore a quanto si creda, per cui è opportuno munirsi di calzature idonee
(abbastanza alte e pesanti) ed avere sempre con sé un bastoncino con il quale
battere il terreno nel caso di funghi particolarmente nascosti dalle foglie o
fra l'erba.
Altro accorgimento da tenere presente è quello della
giacca o impermeabile di nylon o comunque un indumento che non dia appiglio a
rovi e biancospini, così abbondanti nelle nostre zone (Valdichiana).
Infine, per riporre i funghi raccolti è indispensabile
un cesto di vimini o di plastica rigida e areata, possibilmente a due scomparti
per le ragioni predette;
bisogna evitare di porre i funghi in sportine di nylon
e plastica o borse flosce e non aerate dentro le quali, dopo un paio di ore, ci
si ritrova con una massa informe di briciole dalle quali è un vero problema
ricavare qualche parte commestibile senza ombra di dubbio, particolare questo
sempre di primaria importanza e da non dimenticare. Occorre inoltre avere sempre
con sé un temperino per la pulizia dei funghi raccolti.
Vale certamente la pena di spendere qualche parola
sulle leggende nate, non si sa come e così dure a morire, che circolano
abbastanza di frequente sulla presunta velenosità dei funghi:
A) mettendo un oggetto in argento nella stessa pentola
dentro la quale stanno cucinando i funghi, se questi sono velenosi l'oggetto
dovrebbe divenire di colore scuro;
B) quando nelle immediate vicinanze del luogo di
crescita si ha la presenza di rottami di ferro, di residui di scarpe e altri
oggetti non ben definiti, i funghi, anche i più squisiti, diverrebbero velenosi;
C) tutti i funghi mangiati in parte dagli animali
sarebbero commestibili;
D) tutti i funghi che crescono sul legno dovrebbero
essere commestibili;
E) un fungo velenoso che venga a contatto con dei
funghi commestibili farebbe automaticamente diventare velenosi anche questi
ultimi e tante altre dicerie come queste, tutte assolutamente prive di qualsiasi
fondamento. Merita attenzione solamente il fatto del contatto fra i funghi
velenosi e commestibili in quanto può diventare pericoloso qualora parte del
fungo velenoso (frammento o spore) rimanga inavvertitamente fra i commestibili.
Non v'è dubbio che la miglior cura di ogni male è la
prevenzione; ciò vale in particolar modo per gli avvelenamenti da funghi, di cui
non sempre si è in grado di combattere gli effetti frequentemente molto gravi o
mortali. Una precisa conoscenza delle specie responsabili è pertanto
indispensabile a tutti coloro che amano consumare funghi, specialmente se frutto
di dirette raccolte. Deve però essere una conoscenza basata su precise
cognizioni botanico-tassonomiche riferite al fungo in ogni suo habitus e stadio
di sviluppo.
Prima di iniziare a trattare in dettaglio degli avvelenamenti, è
opportuno ricordare che la commestibilità dei funghi si riferisce unicamente ai
funghi cotti. È provato infatti che diverse specie fungine consumate crude sono
tossiche e danno luogo a sindromi di avvelenamento a volte anche serie, mentre
cotte non danno luogo a disturbi di alcun genere. È questo il caso, oltre che
della Gyromitra esculenta di cui si parlerà in seguito, dell'Amanitopsis
vaginata, dell'Amanita solitaria, dell'Amanita junquillea, dei boleti del gruppo
dei "luridi", di alcune Russule a carne dolce non ancora individuate con
sufficiente chiarezza e soprattutto del Paxillus involutus che può dar luogo,
consumato crudo o insufficientemente cotto, ad una sindrome talora molto grave,
la sindrome paxillica, alla cui base si ipotizza essere un fenomeno di tipo
anafilattico: sono stati segnalati casi di intossicazione a esito mortale. Da
notare infine che la cottura contribuisce a rendere inoffensive larve, piccoli
vermi, uova di insetti, la cui ingestione è meglio evitare. Esistono dei funghi,
fortunatamente pochi, che sono velenosi e causano se ingeriti, intossicazioni
più o meno gravi a seconda della specie. Un primo segnale che avverte della
gravita dell'avvelenamento è la distanza di tempo che intercorre tra
l'ingestione dei funghi e la comparsa dei sintomi. In relazione a questo si
possono dividere gli avvelenamenti in due tipi: a breve periodo di incubazione e
a lungo periodo di incubazione.
È provocata dalla ingestione di Amanita phalloides, virosa e
verna anche in piccole quantità (30-40 grammi di fungo fresco sono sufficienti
per uccidere). Questo avvelenamento è caratterizzato dalla tardiva comparsa di
sintomi raramente tra le 6 - 8 ore, spesso fra le 16 e le 20, qualche volta fino
a 40. Compaiono vomito incoercibile e diarree profuse con sete incalmabile e
conseguente disidratazione. Si producono gravi lesioni a carico del fegato e per
riflusso risultano compromessi reni e cuore. Questo avvelenamento spesso è
mortale. Nei casi fortunati la guarigione è lenta con frequenti disturbi epatici
anche a carattere cronico.
È causata dalla ingestione di Galerina marginata.
Lepiota helveola e anche di altre Lepiote dello stesso gruppo. Presenta gli
stessi sintomi dell'avvelenamento da A. phalloides. La sintomatologia inizia
dopo un periodo di incubazione che varia fra le 6 e le 15 ore dopo il pasto. Il
quadro si presenta attenuato e l'esito è raramente letale.
È provocata dalla ingestione del Cortinarius orellanus.
Che questo fungo di aspetto "bruttino" e poco invitante sia velenoso è stato
notato solo da una ventina d'anni a questa parte. Prima, dagli autori, era dato
come commestibile. La sintomatologia inizia fra le 48 ore e i 17 giorni (più
breve è il periodo di incubazione più grave è l'avvelenamento). Insorge
gradualmente e presenta insufficienza renale progressiva. In seguito, coinvolge
il tubo digerente. Nella fase successiva interessa anche il sistema nervoso.
Intorno al 5°-6'' giorno, ad un apparente miglioramento segue, fra il 6° ed il
10° giorno un improvviso aggravamento caratterizzato da emorragie ed
insufficienza epatica. La mortalità è elevata. Nei casi fortunati la guarigione
è molto lenta ma completa. La convalescenza si prolunga per molti mesi.
È provocata da una sostanza contenuta nella Gyromitra
esculenta (Giromitrina). Questo composto, che è volatile, si libera
completamente con la essicazione del fungo mentre, con la sola cottura,
difficilmente si elimina in maniera totale. I residui ancora contenuti nel fungo
cotto, mangiato in grosse quantità o in pasti ravvicinati, possono provocare
avvelenamenti anche mortali. I sintomi compaiono fra le 6 e le 36 ore dopo il
pasto. A disturbi intestinali di modesta entità, seguono gravi compromissioni
del fegato accompagnate da disturbi neurologici, respiratori e renali.
Fra gli avvelenamenti da funghi, quelli causati dalla ingestione
di Entoloma lividum e Tricholoma tigrinum meritano un posto a parte. Sembra
infatti che contengano, specialmente il primo, delle sostanze simili alla
Falloidina che sono in grado di produrre delle gravi lesioni a carico del
fegato. Fortunata- mente questi funghi contengono anche altre sostanze tossiche
che in un periodo di tempo molto breve sono in grado di irritare la mucosa
gastrica e provocare il vomito avvertendo così dell'avvelenamento in atto.
Intervenendo subito con emetici e lavande gastriche si liberano le vie digerenti
dai veleni più pericolosi. I casi di morte da avvelenamento da Entoloma lividum
sono numerosi, specialmente quando non c'è stato l'intervento del medico.
Prima delle 3 ore dalla digestione compare gastro enterite acuta
con vomito. gastralgie, e dolori addominali, diarrea che si attenuano
rapidamente e scompaiono nel giro di poche ore. Gli studi in materia di
intossicazioni fungine dimostrano che tale campo di indagine è ben lontano
dall'essere conosciuto a fondo, non solo per quanto riguarda i meccanismi di
azione dei componenti tossici, ma anche per le intossicazioni stesse: nuovi dati
si aggiungono a quelli già conosciuti. A questo proposito degna di nota è la
scoperta in base a recenti indagini chimiche, della presenza di alfa-amanitina
in un piccolo fungo non raro finora ritenuto innocuo: la Galerina marginata.
Tale sostanza citotossica risulta essere uno dei principali componenti tossici
della mortale Amanita phalloides. Va fatto notare però per inciso che fino ad
ora non si ha con certezza notizia di intossicazioni causate da Galerina
marginata. Da segnalare inoltre il pericolo che certi tipi di avvelenamenti che
un tempo si ritenevano confinati a paesi lontani per chilometri e cultura,
possano invece in un futuro evidenziarsi anche da noi: ci riferiamo alle
sindromi a prevalente impronta psicotropica dovute all'ingestione di specie
appartenenti in gran parte al genere Psilocybe. Tali funghi contengono
psilocibina la cui azione è simile a quella dell'acido lisergico; le specie
maggiormente responsabili sono prevalentemente esotiche.
È causata dalla ingestione delle Clitocybi cerussata, dealbata e
rivulosa e da alcune Inocybi. Il periodo di incubazione è breve ed i sintomi
compaiono fra il 1/4 d'ora e le 3 ore dopo l'ingerimento del fungo. Iniziano con
nausee, vomito, dolori addominali e diarrea. Si accompagnano abbondanti
salivazioni, lacrimazioni, sudori profusi e restringimento della pupilla
(miosi). La sindrome ha evoluzione benigna in poche ore. Si ha però notizia di
casi mortali.
Questo avvelenamento è provocato dalla Amanita muscaria e
pantherina. I veleni responsabili sono ad azione atropinica, anche se vi è
associata muscarina. Fra la 1/2 ora e le 6 ore dalla ingestione compaiono dolori
addominali diffusi e sudorazione. Solo raramente la diarrea. Seguono
manifestazioni deliranti, allucinazioni visive, stato di grande eccitabilità
psichica e convulsioni. Tutto il quadro è caratterizzato da allargamento della
pupilla (midriasi). L'evoluzione è di qualche ora ed in genere benigna. Al
risveglio il paziente mostra completa amnesia del periodo dell'avvelenamento.
Responsabile di questo avvelenamento è il Coprinus
atramentarius. I sintomi compaiono immediatamente alla ingestione associata del
fungo con bevande
alcoliche (vino, birra,
superalcolici ecc.) e dimostrano una chiara intolleranza all'alcool. In genere
nessun sintomo è a carico dell'apparato digerente. Tutto il quadro (effetto
antabus) è caratterizzato da vampe di calore al viso, arrossamenti della pelle,
da vasodilatazione, accelerazione del ritmo respira- torio e cardiaco. Qualche
volta sono presenti nausea e vomito. L'evoluzione è sempre benigna. Occorre però
ricordare che l'assunzione di alcool, anche a distanza di giorni, provocherà
l'improvvisa comparsa della sintomatologia descritta.
È causata dalla ingestione di funghi di molte specie. Le forme
più gravi sono quelle provocate dalla Clitocybe olearia, dagli Entolomi
nidorosum e lividum (a volte) e dal Tricholoma tigrinum (qualche volta). Le
forme più lievi, invece sono quelle causate dal Boletus satanas, dagli Hebelomi,
da Russule e Lactari tossici e dalla Clavaria pallida. Prima delle tre ore dalla
ingestione compare gastroenterite acuta con vomito, gastralgie e dolori
addominali, diarrea che si attenuano rapidamente e scompaiono nel giro di poche
ore.
A
cura del Gruppo Micologico "G. Bresadola" di Arezzo