L'Aloe
L'Aloe, tra le molte piante di questo pianeta, vanta sicuramente una affascinante storia millenaria, testimoniata da molti testi antichi che ne documentano l'uso e le caratteristiche terapeutiche.
Definita pianta dell'immortalità dagli antichi Egizi, essa veniva piantata presso l'entrata delle piramidi per indicare il cammino dei Faraoni verso la terra dei morti; era utilizzata come ingrediente nella preparazione di sostanze per l'imbalsamazione (un caso per tutti, il Faraone Ramses II), sia in Egitto sia nell'antica Mesopotamia, ma era coltivata soprattutto ad uso terapeutico.
Sempre gli antichi Egizi, inventori del clistere, la utilizzavano come enteroclisma purgante, associandola ad altre erbe. Persino la Bibbia fa riferimento più volte a questa pianta; ad esempio nel Vangelo di Giovanni, capitolo 19 verso 39, leggiamo che Nicodemo realizzò una miscela di Mirra ed Aloe per preparare il corpo di Gesù per la sepoltura, e nei Salmi (45:8), le vesti dei Re sono profumate di Mirra e Aloe.
Si sa, inoltre, che gli antichi Assiri ingerivano il succo di Sibaru o Siburu (Aloe) per risolvere i disagi dovuti all'ingestione e alla formazione di gas intestinali. Non fu difficile per gli Assiriologi, infatti, identificare l'Aloe, nella decifrazione dei testi cuneiformi, sulle tavolette d'argilla ritrovate durante gli scavi in quella che doveva essere la biblioteca del re Assurbanipal (Dizionario Botanico Assiro di Thompson), laddove si poteva leggere: "Le foglie assomigliano a foderi di coltelli". Nella cultura Maya, l'Hunpeckin-ci (Aloe) era considerato un meraviglioso rimedio per il mal di testa; il succo si preparava in infusione, e veniva bevuta diluito con acqua, mentre le donne Maya strofinavano il gel (dal forte gusto amaro) sui seni per imporre lo svezzamento ai loro bambini.
Nel 1° secolo a.C., sia Dioscoride, medico greco al servizio dell'Impero Romano, che Plinio il Vecchio, autore del famoso trattato "Historia Naturalis", descrivevano gli usi terapeutici del succo d'Aloe per curare ferite, disturbi di stomaco, stipsi, punture d'insetto, mal di testa, calvizie, irritazioni della pelle, problemi orali ed altri disagi. Molto più tardi, anche Cristoforo Colombo, durante il viaggio verso il Nuovo Mondo, annotava nel suo diario: "Todo està bien, hay Aloe a bordo". Sicuramente, diverse civiltà e vari popoli attribuirono a questa pianta anche poteri magici ed esoterici: ad esempio, secondo un testo cuneiforme accadico di oltre 4000 anni fa, l'Aloe, posta davanti all'ingresso di molte case, in particolar modo di nuova costruzione, assicurava lunga vita e prosperità ai suoi residenti; ancora oggi, in Egitto è considerata protettrice e portatrice di felicità se collocata presso le abitazioni. Anche oggi, si può trovare all'interno dei negozi: qualcuno crede, infatti, che essa protegga il nucleo familiare assorbendo le energie negative portate da alcuni visitatori; un fiocco rosso attorno alla pianta, poi, serve ad invocare l'amore, mentre uno verde ad invocare la fortuna; in alcuni rituali, inoltre, è ancora utilizzata per il suo "potere energetico".
Ricercatori moderni Questo breve tracciato storico, che contempla anche aspetti legati alla superstizione, dimostra come l'Aloe, da oltre quattromila anni, faccia parte della medicina popolare nella storia dell'umanità. Ai nostri giorni, dopo essere stata relegata ad un posto di second'ordine, com'è avvenuto per la maggior parte delle piante medicinali a causa di un uso generalizzato dei farmaci moderni, l'Aloe è tornata a far parlare di sé, in particolar modo a partire dal 1851, quando due ricercatori, Smith e Stenhouse isolarono un principio attivo con proprietà lassative che essi chiamarono Aloina. Nel 1935, Creston Collins e suo figlio rivelarono, in un rapporto divenuto poi celebre, il possibile utilizzo dell'Aloe per sopperire agli effetti devastanti delle radiazioni; così, da quel momento, molti scienziati presero in considerazione uno studio più approfondito di questa pianta.
Arriviamo alla fine degli anni '50, quando il farmacista texano Bill Coats riuscì a stabilizzare la polpa con un procedimento naturale: si aprirono, in tal modo, le porte alla commercializzazione per uso industriale di prodotti a base d'Aloe. In precedenza i limiti erano posti dal problema dell'ossidazione del succo che non si conservava a lungo, alterandosi rapidamente una volta estratto a freddo dalla pianta. Alcuni ricercatori tentarono di risolvere il problema con l'esposizione del gel ai raggi ultravioletti, ma questo procedimento alterava la sua composizione chimica; si tentò inoltre con la pastorizzazione del gel a temperature superiori ai 60° dopo aver aggiunto perossido d'idrogeno, ma anche questo tentativo fallì. Bill Coats fu il primo a realizzare un procedimento atto a conservare gli enzimi e le vitamine presenti nell'Aloe; tale procedimento consisteva nell'incubazione del gel con aggiunta di vitamina C (acido ascorbico), vitamina E (tocoferolo) e sorbitolo.
Il dottor G.W. Reynolds classificò, nel 1950, almeno 350 specie di Aloe; oggi, oltre 600 varietà di piante del genere Aloe, che appartenevano alla famiglia delle Liliacee, sono state classificate recentemente come Aloaceae. Ben 125 specie sono state catalogate solo nel Sud Africa (inclusi lo Swaiziland ed il Lesotho), mentre le altre sono distribuite in ulteriori zone del continente africano, in Israele in India, in Pakistan, nel Nepal, in Cina, in Tailandia, in Cambogia, nei Caraibi, in Spagna, a Cuba, nell'America Centrale e del Sud, nell'America del Nord (Texas e Florida) e in Messico. Il ceppo d'origine dell'Aloe, dunque, è da ricercare in (Reynolds, 1966).
Il suo habitat è tipico delle zone aride e desertiche e può raggiungere altezze che variano dai pochi centimetri ai venti metri, secondo la specie. Va chiarito che in botanica, in genere, si usa chiamare una pianta con la denominazione assegnata dall'ultimo studioso; per fare un esempio, l'Aloe Barbadensis o delle Barbados, di Miller, è il nome attuale dell'Aloe vera di Linneo e dell'Aloe Vularis di Lamarck. Il termine Aloe ("Allo eh" in arabo, "Halal" in ebraico, "Alo hei" in Cina, Aloe nei paesi occidentali) deriva dalla radice greca "Als" o "Alos", che significa sostanza amara, salata come l'acqua del mare. I suoi fiori vanno dal bianco-verdastro, per esempio, dell'Aloe Integra dello Swaziland che fiorisce da ottobre a dicembre; dal rosa-aranciato dell'Aloe Zebrina (distribuita in Botswana, Namibia, Angola e Zimbabwe), con fioritura da gennaio a marzo e da novembre a dicembre, secondo il clima, al rosa più intenso, con tendenza al rosso, dell'Aloe Peglerae presente in Magaliesberg, Witwatersberg (Petroria), con fioritura da luglio ad agosto.
Le tre specie più conosciute Vediamo ora, in dettaglio, confrontandole fra loro, le tre specie più conosciute: l'Aloe Vera Barbadensis, l'Aloe Arborescens Miller e l'Aloe Ferox. Va, innanzitutto, detto che l'Aloe Vera, così battezzata e descritta da Linneo, l'Aloe Barbadensis di Miller, e l'Aloe Vulgaris di Lamarck sono la stessa pianta.
L'Aloe Barbadensis deve il suo nome alle Isole Barbados, ma è anche presente nel resto delle Antille, nei Caraibi e soprattutto sulla costa nord orientale dell'Africa da cui probabilmente si diffuse. Il problema del nome, è complicato dal fatto che Miller aveva a sua volta denominato e battezzato Aloe Vera un'altra varietà di Aloe, creando una certa confusione nell'ambiente botanico. Così, oggi, abbiamo sia l'Aloe Barbadensis, chiamata spesso Aloe Vera, sia un altro tipo di Aloe denominata Aloe Vera qualità Vera, per differenziarla dalla prima. Confrontandole, però, è abbastanza facile distinguere la Barbadensis dall'Aloe Vera qualità Vera, pur senza essere dei botanici di professione: la prima ha le foglie raccolte intorno ad un rosone centrale, mentre l'altra ha le foglie sovrapposte. L'Aloe Barbadensis può raggiungere un'altezza massima di 60-90 cm, e vive, in genere, cinque anni. Le sue foglie spinose possono raggiungere una lunghezza di 40-50 cm, con una larghezza alla base che varia dai 6 ai 10 cm. Queste foglie, maculate in fase di crescita, assumono un colore verde uniforme allo stato adulto, rivestite da una pellicola protettrice che permette alla pianta di filtrare l'aria e l'acqua. Sotto questa membrana troviamo un primo strato cellulosico che racchiude cristalli di ossalato di calcio e le cellule pericicliche dell'Aloina, l'essudato giallo-rosato con proprietà lassative. Racchiuso in questa triplice protezione vegetale, troviamo il Parenchima, un tessuto incolore costituito dal gel della pianta così tanto ricercato. La qualità di quest'ultimo dipende molto dal tipo di clima e dall'irrigazione. L'Aloe Arborescens, spesso confusa con l'Aloe Mutabilis, presenta le seguenti caratteristiche: il suo tronco può superare i due metri di altezza; le foglie vanno dal colore grigio - verde al verde chiaro e possono arrivare ad una lunghezza di 50, 60 cm. Il suo paese di origine è il Sud Africa. Chiamata anche Aloe del Capo (Cape Aloe), cresce spontaneamente nella provincia del Capo, nel KwaZulu-Natal, nel Mpumalanga e nel nord della provincia, nel Mozabico, nello Zimbabwe e nel Malawi. Oggi diffusissima in varie parti del globo, questa specie fiorisce da maggio a luglio e i suoi fiori possono essere gialli, rosa o arancio. Poiché contengono poca acqua, le foglie presentano una quantità maggiore di principi attivi. L'Aloe Ferox, infine, è molto robusta e la sua altezza varia dai 2 ai cinque metri nelle piante più vecchie. Le sue foglie, molto carnose, hanno una tendenza di colore che va dal verde al grigio - verde, con spine di colore più scuro rispetto alla foglia. Presenta infiorescenze erette, con 5-12 fiori rosa - corallo disposti in verticale su un unico stelo; generalmente confusa con altre specie (A. Marlothii, A. Spectabilis), fiorisce da maggio ad agosto (nelle zone più settentrionali, invece, da settembre a novembre). È anch'essa originaria dell'Africa meridionale; in particolar modo, è diffusa nelle zone aride della provincia del Capo (est ed ovest), nel sud del kwaZulu-Natal e in alcune zone del sud-ovest del Lesotho.
Tratto da: Erbe.it
Fonti: Queto, Sociedad Peruana de Cactus y Suculentas vol. 14-2000 Roys, Ralph L., 1931, "The Ethnobotany of the Maya" New Orleans: Tulane University, Department of Middle American Research Marc Schweizer, "Aloès la plante qui guèrit", Apophtegme "Guide to the Aloes of South Africa" - Briza Publication 1996
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